Il danno non patrimoniale dopo le S.U. del 11.11.08

Non vi è dubbio che una delle esigenze più avvertite, all’indomani della svolta costituita dalle oramai celebri sentenze gemelle delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 11.11.08 sia quella di una rivisitazione sistematica della materia che consenta di stabilire con certezza quali poste il danneggiato possa effettivamente richiedere, a titolo di danno non patrimoniale, e quali strumenti egli abbia a disposizione per procedere ad un’adeguata ed equa quantificazione dello stesso.

Può essere allora opportuno ripercorrere, sinteticamente e senza pretese di esaustività, le dimensioni del danno non patrimoniale muovendo dalla sofferenza morale per passare poi al c.d. danno biologico e ai pregiudizi lesivi di diritti e interessi differenti rispetto a quello della salute.

Orbene, uno degli aspetti più rilevanti delle storiche pronunce concerne quello che fino all’11 novembre 2008 veniva definito come ‘danno morale’ e la cui legittimità e consistenza è stata quanto meno ridisegnata dalle pronunce della Suprema Corte. Una prima sicura e oramai pacifica acquisizione in seguito alle sentenze in questione è che la formula ‘danno morale’ non individua più un’autonoma sotto categoria di danno, ma descrive, piuttosto, tra i vari possibili pregiudizi di natura non patrimoniale un genere di detrimento rappresentato dalla “sofferenza soggettiva causata dal reato in sé e per sé considerata”. La Corte ha avuto anche modo e cura di evidenziare che, ai fini dell’esistenza del danno, non rileva l’intensità di tale sofferenza e la sua durata nel tempo, che incidono esclusivamente nella quantificazione del risarcimento.

Si è peraltro diffusa, in sede di prima interpretazione e di lettura a caldo del contenuto delle pronunce, una linea di pensiero che avvalora la tesi, invero audace e frutto di un’evidente forzatura ermeneutica, secondo cui tali sentenze avrebbero addirittura sancito la “morte” del danno morale, determinando l’effetto, sgradito o auspicato a seconda dei punti di vista, di una sua espunzione dal quadro del sistema risarcitorio quale risultante dal nostro diritto vivente.

Che tale affermazione costituisca un’indebita lettura del contenuto delle pronunce delle sezioni unite lo dimostra a chiare lettere e in primis un’attenta lettura della parte motiva delle sentenze medesime da cui emerge chiaramente come la Suprema Corte abbia inteso non già “eliminare il danno morale”, quanto piuttosto censurare metodologie di quantificazione ritenute troppo superficiali e viziate da non condivisibili automatismi di calcolo. In altre parole, ad essere “cassato” non è il danno morale (che viene semplicemente ricondotto nella più ampia e onnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale, non certamente disconosciuto quale indubitabile conseguenza di molte fattispecie dannose), ma è semmai il modo in cui lo si quantifica che, secondo la Corte, va rivisitato e ricondotto all’irrinunciabile criterio di una congrua personalizzazione e di un’adeguata calibrazione al caso concreto in esame: “esclusa la praticabilità di tale operazione (quella cioè di liquidare di default la sofferenza morale in una percentuale da un terzo alla metà del biologico n.d.r.) dovrà il Giudice, qualora si avvalga delle note tabelle procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, ove pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”[1].

“In realtà la sua fine non è mai stata pronunciata”, come ha efficacemente sintetizzato Bianca Pascotto: “l’affermazione delle sezioni unite sul danno morale soggettivo è stata interpretata e raccolta come definitivo requiem della voce ‘danno morale’ dal sistema risarcitoria civilistico, ritenendo che non ci sarebbe più stato spazio per ottenere il risarcimento di quella sofferenza transeunte che promana da un evento ingiusto, ma la Pronuncia delle S.U. non ha mai detto questo”[2]. La questione va affrontata sotto un duplice profilo: nominalistico e metodologico. Per quanto concerne il primo aspetto, la sofferenza morale continua ovviamente ad esistere e ad avere una sua dignità quale conseguenza risarcibile di un illecito, anche se la dicitura ‘danno morale’ avrà esclusivamente un valore nominalistico con mera valenza descrittiva. Essa viene infatti ricondotta entro l’alveo del danno non patrimoniale nonché, in caso di sussistenza di danno biologico, risarcita mediante una adeguata valorizzazione sotto il profilo dell’entificazione. In altri termini, altro è sostenere che il danno morale non è una categoria autonoma, altro è affermare, come fatto affrettatamente da taluni, che la sofferenza morale non è più suscettibile di risarcimento. Non si vede, del resto, come potrebbe il giudice “valutare nella sua effettiva consistenza” (per usare l’espressione delle S.U.) qualcosa che non esiste o che non ha dignità risarcitoria. Per quanto concerne il secondo aspetto, si apre ovviamente un ineludibile dibattito circa le concrete modalità attraverso le quali gli operatori del settore potranno e dovranno giungere a quel compiuto ristoro delle conseguenze dannose di un illecito in grado, nel contempo, di salvaguardare le esigenze di equità e integralità del risarcimento e quelle, altrettanto importanti, di evitare indebite duplicazioni o locupletazioni in capo alla vittima. Ci sentiamo di condividere, a tal proposito, le parole del Tribunale di Milano, che, con sentenza 2334 nel 19.02.09, ha così sintetizzato il senso della pronuncia delle sezioni unite: ”il Giudice, anziché procedere alla separata liquidazione del danno morale in termini di una percentuale del danno biologico (procedimento che determina una duplicazione di danno), deve procedere ad una adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”[3]. E’ proprio in forza di questa argomentazione che il Tribunale di Milano con la menzionata pronuncia, successiva alle sentenze gemelle delle sezioni unite, giunge ad una implementazione del danno biologico procedendo, come si legge testualmente “ad un adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale” e liquidando così “una somma ulteriore che ristori integralmente il pregiudizio subito dalla vittima”. Va peraltro evidenziato come il giudice meneghino non illustri il metodo seguito per “valorizzare” la sofferenza morale, e tuttavia aggiunga una considerazione in punto di diritto, che ci sentiamo di condividere e che consiste nell’escludere, motivatamente, una delle varie proposte che hanno fatto seguito alle pronunce delle sezioni unite e cioè quella di ritenere assorbita la sofferenza morale in quell’aumento percentuale del danno biologico previsto dagli artt. 138 (per le lesioni di non lieve entità) e 139 (per quelle di lieve entità) del D.Lgs n. 209 del 07.09.05 (c.d. Codice delle Assicurazioni). Rammentiamo che l’art. 138 prevede che “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l’ammontare del danno determinato ai sensi della Tabella Unica Nazionale può essere aumentato dal Giudice sino al 30%, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”. L’art. 139, per le micropermanenti, prevede che “l’ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal Giudice in misura non superiore a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”. Ebbene, come rilevato, secondo alcune delle prime letture delle pronunce delle sezioni unite la sofferenza morale dovrebbe, se del caso, essere quantificata attenendosi alle percentuali introdotte dal legislatore con i succitati artt. del D.Lgs. 209/05. A prescindere dal fatto che tale interpretazione risulterebbe fortemente penalizzante per i danneggiati che si vedrebbero letteralmente decapitare l’entità dell’eventuale sofferenza morale (secondo le pur diverse prassi liquidative dei tribunali italiani) all’incirca da un 50-60% del danno biologico a un 30% massimo per le macro permanenti e da un 30-35% a un 20% massimo per le micro, essa è in ogni caso destituita di fondamento in forza di una lettura sistematica del contesto in cui furono licenziate le norme richiamate dal nuovo Codice delle Assicurazioni. Sul punto, la sentenza n. 2334/09 del Tribunale di Milano è perentoria: ”il Giudice deve muovere dal presupposto che nei valori monetari disciplinati dall’art. 139 Codice delle Assicurazioni il Legislatore non abbia affatto tenuto conto delle sofferenze fisiche e psichiche patite dalla vittima”. I giudici milanesi hanno ribadito tali conclusioni con la sentenza n. 11774/08 dell’11.12.08. La questione è stata affrontata, con ancora maggior forza argomentativa, dal Tribunale di Bologna con la sentenza del 29.01.09 n. 20076/09: “al proposito si evidenzia che la limitazione alla misura non superiore ad un quinto del danno biologico di cui al comma 3 dell’art. 139 Codice Assicurazioni Private va riferita unicamente alla personalizzazione inerente all’aspetto dinamico-relazionale. Infatti, nonostante la differente dizione del citato art. 139 comma 3 rispetto all’art. 138 comma 3, la suddetta limitazione non può considerarsi onnicomprensiva, tenuto conto che all’epoca di emanazione della suddetta normativa era pacifica l’autonoma risarcibilità del danno morale”[4].

Ora, prescindendo per un attimo dalla questione del profilo dinamico-relazionale del danno biologico su cui torneremo in prosieguo, ci preme intanto ribadire che, secondo queste pronunce di merito successive alle sezioni unite, il danno morale non è affatto scomparso né può essere confinato nel letto di Procuste degli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 209/05.

Il Tribunale di Torino ha così efficacemente riassunto la questione: “La definizione che del danno biologico danno gli artt. 138 e 139 C.d.A. è evidentemente più ristretta rispetto al danno non patrimoniale cui fanno riferimento le Sezioni Unite. Infatti, nell’ambito di quest’ultima nozione di danno rientra la sofferenza fisica e morale; mentre è innegabile che l’accertamento medico legale dell’entità della lesione psico-fisica (cioè del danno biologico tradizionalmente inteso) viene effettuato con considerazione solo marginale della sofferenza fisica e del tutto prescindendo dalla sofferenza psichica. In altri termini: non pare che in ogni caso in cui esista una lesione fisica o psichica in essa sia compresa (quale ‘parte’ di un ‘sistema’ più grande) la sofferenza insista in tale lesione”[5]. Per inciso, va detto che l’obiettivo della metodologia proposta dalla presente guida è proprio quello di colmare tale lacuna.

Può pertanto considerarsi come acquisito, anche dopo l’11.11.2008, il principio per cui la sofferenza morale non può consistere automaticamente in una quota minore del danno alla salute, ma deve essere risarcita in sé e per sé, sia pure entro il limes costituito dall’ampia categoria del danno non patrimoniale.

In proposito, valgano le inequivocabili considerazioni della sentenza n. 29191 del 12.12.08 della terza sezione della Corte di Cassazione: “nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto alla salute, la valutazione di tale voce dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (la sua integrità morale: art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza e al Trattato di Lisbona ratificato in Italia con la Lg. 02.08.08 n. 190, che colloca la dignità umana coma la massima espressione della sua integrità morale e biologica) deve tener conto delle considerazioni soggettive delle persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute”[6]. Per chiudere le considerazioni sul destino del danno morale dopo le sezioni unite e prima di procedere oltre, ci permettiamo di richiamare una parte del testo della risoluzione adottata all’esito della riunione tenuta il 21.02.09 dai magistarti delle due sezioni civili del Tribunale di Modena sul tema del risarcimento del danno alla persona: “tutti i presenti hanno concordato sul fatto che la decisione delle S.U. non esclude né limita la risarcibilità del danno morale, essendo invece richiesto, aspetto sul quale tutti i presenti hanno concordato, un maggiore sforzo motivazionale e di personalizzazione del risarcimento”.

A questo punto, una volta chiarito che, nel quadro del sistema risarcitorio uscito dal vaglio delle sezioni unite va senz’altro salvaguardato il risarcimento della cosiddetta sofferenza morale e una volta ribadito che la Suprema Corte ha inteso semplicemente sottolineare che la dicitura ‘danno morale’ ha una valenza descrittiva che non designa una categoria autonoma ma un’area del pregiudizio non patrimoniale che deve comunque essere adeguatamente ristorata, passiamo a trattare la questione della componente dinamico-relazionale soggettiva del danno biologico, sempre guidati dal medesimo intento di tracciare un quadro, il più possibile lineare, di quelle che sono le voci risarcibili nell’alveo della non patrimonialità. Abbiamo già richiamato in precedenza le attuali definizioni legislative di danno biologico che costituiscono solo l’ultima espressione di una volontà del legislatore di normare un concetto di creazione giurisprudenziale (recepito a livello di diritto positivo prima del D.Lgs 38/2000, poi dalla Lg. 57/2001 e infine dal nuovo Codice delle Assicurazioni).

Tradizionalmente, si distingue tra danno biologico statico e danno biologico dinamico, laddove il primo comprende ogni pregiudizio a danno della persona globalmente considerata e per il quale si ricorre a una liquidazione fondata sulla percentuale di menomazione assegnata dal medico legale, mentre il secondo attiene a una personalizzazione del risarcimento relativa alle condizioni soggettive specifiche della vittima e alle conseguenze riportate nel caso concreto: “il danno biologico va inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica in sé e per sé considerata e, al fine della determinazione del risarcimento, va considerato sia nel suo aspetto statico (diminuzione del bene primario dell’integrità psico-fisica) sia nel suo aspetto dinamico (manifestazione ed espressione quotidiana del bene salute che riguarda sia l’attività lavorativa che le altre attività extra lavorative e che pongono il soggetto in condizione non solo di produrre utilità, ma anche di ricevere utilità). Tra i possibili criteri di liquidazione del danno biologico (…) va adottato quello ‘tabellare’, basato sull’attribuzione di un importo predeterminato per ogni punto di invalidità”[7]. Il Cendon ha molto efficacemente distinto i due profili (rispettivamente statico e dinamico) del danno biologico come segue: “di fronte ad ogni attentato che minacci la quotidianità della vittima due appaiono gli ordini di contraccolpi immaginabili: uno lo zoccolo dell’id quod prerumque accidit corrispondente, in generale, agli svolgimenti colloquial-relazionali che qualsiasi persona sulla base di una certa situazione soggettiva, tende ordinariamente a porre in essere; due, la fascia cosiddetta idiosincratica in cui rientrano specificamente i momenti areddituali che soltanto la vittima risulti aver coltivato – o essere incline a praticare nel futuro con altrettanta passione o solerzia – nell’esercizio di quella posizione”[8].

In dottrina vanno anche segnalate le considerazioni di Ilaria Palmigiani sempre con riferimento alla distinzione tra danno biologico statico e dinamico: “il primo comprensivo di ogni pregiudizio incidente sulla persona globalmente considerata e liquidabile – a prescindere da un onere di allegazione – sulla base della percentuale accertata dal medico legale; il danno biologico personalizzato (o danno biologico dinamico), invece, funzionale ad una personalizzazione del risarcimento in relazione alle condizioni soggettive del danneggiato ed alle diverse conseguenze ed esiti delle lesioni subite”[9].

Orbene, venendo al contenuto delle sentenze delle sezioni unite con precipuo riferimento al danno biologico, va evidenziato come, anche con riferimento al tale voce di danno, la Suprema Corte inviti ad utilizzare il termine a puri fini descrittivi, così come già fatto per il danno morale: ”è solo a fini descrittivi che, in detta ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 della Costituzione), s’impiega un nome parlando di danno biologico”. Tuttavia, ciò non legittima ovviamente nessuna interpretazione abolizionista dello stesso danno biologico, mentre una simile interpretazione è stata da taluni inopinatamente avallata, come evidenziato, con riferimento al cosiddetto danno morale.

La necessità di valorizzare, all’occorrenza, anche il profilo dinamico-relazionale soggettivo del danno biologico emerge da una lettura testuale della stessa pronuncia delle sezioni unite: “possono costituire solo ‘voci’ del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il cosiddetto danno ‘alla vita di relazione’ i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita conseguenti a lesioni dell’integrità psico-fisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione”.

A tal proposito, possiamo fondatamente sostenere che sono proprio tali riflessi che ridondino sulle condizioni soggettive del danneggiato (ex art. 139 comma 3 del Codice delle Assicurazioni) o su specifici aspetti dinamico-relazionali personali (ex art. 138 comma 3 nuovo del Codice delle Assicurazioni) a legittimare il riconoscimento da parte del giudice di quella implementazione della entificazione del danno biologico nella misura del 20% o del 30% prevista dagli stessi artt. 138 e 139 D.Lgs. 209/05. Tale aumento, dunque, è da ascriversi alla componente dinamico-relazionale del danno biologico e alle sue specifiche, idiosincratiche ripercussioni soggettive sulla vittima e, non invece, lo ribadiamo, alla sofferenza morale, che dovrà essere oggetto di separata considerazione e valutazione.

Possiamo quindi concludere che in presenza di una lesione psico-fisica medicalmente accertata, il medico legale potrà essere chiamato a pronunciarsi sulla eventuale incidenza della lesione stessa su specifici aspetti soggettivi dinamico-relazionali del danneggiato. In tal caso, la vittima potrà chiedere, in forza di specifiche, accertate incidenze della menomazione sulle condizioni soggettive della medesima, un aumento del danno biologico nella misura del 20% o del 30% a seconda che si tratti di una micro o di una macro permanente, così come previsto dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni (non affrontiamo in questa sede la questione della applicabilità o meno del criterio di cui al D.Lgs. 209/05 anche a fattispecie che esulino dalla materia della circolazione stradale, limitandoci a rinviare alla giurisprudenza che si è esercitata sul punto che costituisce un dibattito ancora aperto).

L’interpretazione proposta è pregevolmente sintetizzata da una sentenza del Tribunale di Milano relativamente recente, che così statuisce: “tutti i pregiudizi presuntivamente desumibili come connessi e conseguenti a gravi postumi permanenti sono già compresi nel risarcimento del danno biologico che è oggetto di valutazione medico-legale sia nel suo aspetto statico, quale danno fisiologico, sia nei suoi aspetti dinamico-relazionali”. La stessa pronuncia evidenzia come ciò sia vieppiù confermato dal nuovo codice delle assicurazioni: “tale criterio, ora affermato espressamente nell’art. 138, comma d, del nuovo codice delle assicurazioni, trovava già accoglimento in giurisprudenza sulla base delle indicazioni della medicina legale che ha evidenziato come la quantificazione medico-legale del danno biologico non misuri una menomazione somato-psichica in sè e per sé considerata, isolata e avulsa dalla persona che la subisce, quanto il pregiudizio che quella menomazione mediamente cagiona alla sfera in senso lato esistenziale della persona, secondo una prevedibile proiezione degli effetti della menomazione nella vita sociale e famigliare”[10]. Va, peraltro, anche precisato che gli artt. 138 e 139 concernono l’aspetto, per così dire, monetario nel senso che ci dicono di quanto possa essere aumentato l’ammontare pecuniario del danno biologico in presenza di ripercussioni sotto il profilo dinamico-relazionale. Nulla ci dicono, invece, con riferimento al modo in cui quello specifico profilo dinamico-relazionale può essere individuato ed, eventualmente, riconosciuto e neppure con riferimento alla misura in cui questo deve avvenire. In proposito, risulta, pertanto, di grande interesse la proposta metodologica avanzata dalla presente guida che ha la precipua funzione di dare sostanza a un enunciato legislativo destinato altrimenti a rimanere privo di pratica attuazione.

Una volta chiesto ed eventualmente ottenuto l’aumento del danno biologico in ragione della asserita sussistenza di specifici profili soggettivi-relazionali della vittima ex artt. 138 e 139 cod. ass., il danneggiato e il suo difensore potranno chiedere anche il ristoro della sofferenza morale da liquidarsi, come già visto ed evidenziato, con una adeguata personalizzazione, a cui fa riferimento il metodo di valutazione illustrato dall’odierna guida.

A questo punto resta da affrontare la questione se sia ancora praticabile, per il danneggiato, l’istanza risarcitoria che contempli, nel novero del danno non patrimoniale, oltre al danno biologico statico e al danno biologico dinamico (ex artt. 138 e 139 D.Lgs 209/05) e oltre alla sofferenza morale, anche quella specifica voce di danno non patrimoniale che veniva, fino a ieri, definita ‘danno esistenziale’. In primis, va evidenziato come le sezioni unite non abbiano assolutamente sancito la ‘fine’ del c.d. danno esistenziale, ma abbiano piuttosto inteso tracciare dei confini più sicuri sia sul piano semantico che su quello contenutistico e ontologico rispetto ai profili di danno che era d’uso ricondurre sotto la dicitura di ‘danno esistenziale’.

Orbene, è vero che la Suprema Corte, con le sentenza del 11.11.08, ha precisato che di danno esistenziale in quanto tale, come autonoma categoria di danno, non è più dato discorrere una volta ricondotto ogni pregiudizio incidente sul fare areddituale del soggetto entro i limiti del danno non patrimoniale: “in conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata ‘danno esistenziale’ perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale”.

E’ altrettanto vero, però, che quello che veniva designato quale danno esistenziale potrà e dovrà continuare ad essere risarcito in presenza di determinati requisiti, in primo luogo nei casi previsti dalla legge (ravvisabili in primis, ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p., nelle fattispecie criminose ovvero nelle altre note previsioni normative) ovvero nell’ipotesi di lesione di diritti costituzionali inviolabili.

Peraltro, di fronte ad un fatto reato, come le lesioni personali colpose, andrà ristorato il relativo danno non patrimoniale da lesione di interessi non economici, a prescindere dalla (non necessaria) individuazione di eventuali diritti costituzionali inviolabili lesi. Infatti, come hanno cura di precisare, le S.U.: “nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.U. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/98; S.U. n. 9556/2002) nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica)”.

Altrimenti detto e sempre utilizzando le parole della Corte: “in ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza di reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (…) ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento (secondo il criterio dell’ingiustizia) ex art. 2043 c.c., poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell’interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell’interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale”.

Risarcimento di un danno non patrimoniale ‘altro’ rispetto al puro biologico vi sarà anche in presenza di lesione di un diritto costituzionalmente garantito qualificabile come ‘inviolabile’. Sul punto le sentenze gemelle del 11.11.08 sono chiarissime: “altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nel danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del c.d. ‘danno estetico’ che del c.d. ‘danno alla vita di relazione’) saranno risarcibili purchè siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica”.

A questo punto, la questione diventa verificare se, una volta acclarato e riconosciuto che il danno biologico dinamico assorbe i profili relazionali soggettivi della vittima o, per utilizzare la lettera delle sezioni unite, “i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesione dell’integrità psicofisica” e una volta appurato che i limiti della valorizzazione di tali pregiudizi (dal punto di vista economico) sono quelli contemplati dagli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 209/05, continua, oggi, ad essere ristorabile, in presenza di un danno biologico statico e/o dinamico e in aggiunta ad esso e alla correlata sofferenza morale nel senso e con i limiti sopra indicati, un danno non patrimoniale ‘altro’ rispetto allo stesso biologico e alla stessa sofferenza morale.

Giovanni Facci ha così pregevolmente espresso tale dubbio: “in tal modo, però, si pone il problema di distinguere il danno esistenziale dalla componente dinamico-relazionale del danno biologico, la quale dovrebbe assumere particolare rilievo, in sede di liquidazione, durante la fase di c.d. personalizzazione del danno biologico. Tale fase – attinente ai riflessi comportamentali del vivere quotidiano, o più in generale sulla vita relazionale del danneggiato – è presa in considerazione sia dal comma 3 dell’art. 138, D.Lgs. 2005, n. 209 (Codice delle Assicurazioni), relativo al danno biologico per lesioni di non lieve entità, sia dal comma 3 dell’art. 139, dello stesso D.Lgs., relativo al danno biologico per lesioni di lieve entità”[11].

In proposito, condividiamo pienamente le conclusioni di Facci laddove, muovendo da una logica non duplicatoria, ma nello stesso tempo neppure penalizzante, paventa i rischi che si corrono patrocinando la tesi secondo cui il c.d. danno esistenziale risulti oramai assorbito dalla previsione degli artt. 138 e 139 D.Lgs 209/05: “può apparire difficoltoso garantire un risarcimento integrale del pregiudizio subito, allorchè la fase di personalizzazione sia contenuta entro i rigidi parametri indicati dagli artt. 138 e 139 cod. ass., tenuto conto che se da una parte deve essere evitata la duplicazione delle voci di danno dall’altra deve essere garantita l’integrale riparazione del pregiudizio subito”.

Coerente con questa impostazione, del resto, è stata la stessa Corte di Cassazione che, in una pronuncia, non superata, ma da rileggersi alla luce delle recenti conclusioni delle S.U., così argomentava, in un caso di danno biologico incidente su un diritto costituzionale inviolabile come quello alla sessualità: “Quanto al diritto alla sessualità, occorre ricordare l’incipit della Corte Costituzionale (Corte Cost. sent. 18 dicembre 1987 n. 561) che lo inquadra tra i diritti inviolabili della persona (art. 2), come modus vivendi essenziale per l’espressione e lo sviluppo della persona. Certamente la perdita della sessualità costituisce anche danno biologico (la cui valutazione nelle tabelle medico legali convenzionali supera normalmente il livello della micropermanente e determina un rilevante ritocco del punteggio finale) consequenziale alla lesione per fatto della circolazione (come è nel caso di specie), ma nessuno ormai nega (v. da ultimo Cass. SS.UU. 24 marzo 2006 n. 6572 e Cass. 3^ sez. civile 12 giugno 2006 n. 13546) che la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità (come avviene nei casi di stupro e di pedofilia) costituisca di per sè un danno esistenziale, la cui rilevanza deve essere autonomamente apprezzata e valutata equitativamente in termini non patrimoniali e con una congrua stima dell’equivalente economico del debito di valore”[12] (Cass. 2311/07).

E’ sufficiente sostituire il sintagma ‘danno esistenziale’ con quello ‘danno da lesione di diritti costituzionali inviolabili’ per cogliere l’attualità della sentenza citata nella parte e nella misura in cui riconosce la ristorabilità del danno biologico in una al danno non patrimoniale, per così dire ‘altro’ rispetto allo stesso biologico.

Ebbene, ribadita l’esigenza che in ipotesi di contestuale liquidazione del danno morale e di altra voce di danno non patrimoniale (quale lo stesso biologico) siano evitati fenomeni di duplicazione delle poste risarcitorie e quindi di iniusta locupletatio del danneggiato (si vedano in subiecta materia le storiche Cass. Civ., Sez. III. 31.5.2003, n. 8827 e 8828; nonché, in seguito, Corte Cost. 11.7.2003, n. 233; Cass. Civ., Sez. III, 7.11.2003 n. 16716; Cass. Civ., Sez. III, 18.11.2003, n. 17429; Cass. Civ., Sez. III, 12.12.2003 n. 19057; Cass. Civ., Sez. III, 1.6.2004, n. 10482; Cass. Civ., Sez., Sez. III, 29.7.2004, n. 14488; Cass. Civ., Sez. III, 18.3.2005, n. 5677; Cass. Civ., Sez. III, 30.3.2005, n. 6732; Cass. Civ., Sez. I, 10.5.2005, n. 9801), possiamo concludere che le sezioni unite hanno chiaramente riconosciuto la risarcibilità in aggiunta del danno biologico (nella sua duplice componente statica e dinamica) del pregiudizio esistenziale, laddove ne ricorrano i presupposti dalla stessa Corte indicati (vale a dire fattispecie criminosa o altre specifiche previsioni legislative o lesione di un diritto inviolabile costituzionalmente garantito, accompagnato da serietà e gravità dell’offesa): “altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell’ambito del danno biologico (comprensivo secondo giurisprudenza ormai consolidata sia del c.d. ‘danno estetico’ che del c.d. ‘danno alla vita di relazione’), saranno risarcibili purchè siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica”.

A fugare ogni dubbio, in proposito, sono le stesse S.U. che, proprio con riferimento a una caso di lesione della salute che ridondi nell’impossibilità di rapporti sessuali con il coniuge (il medesimo caso, dunque, trattato dalla surrichiamata sentenza di Cass. 2311/07) e dunque proprio con riferimento ad una ipotesi in cui sussiste certamente un danno biologico, affermano, con lo scopo di fornire un esempio di ‘coabitazione’ fra danno biologico e ‘altro’ danno non patrimoniale: “ipotesi che si verifica nel caso (esaminato dalla sentenza n. 6607/1986) dell’illecito che, cagionando ad una persona coniugata l’impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell’altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio. Nella fattispecie il pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua integrità psicofisica”.

Il concetto può essere pregevolmente sintetizzato richiamandosi alla motivazione di una sentenza del Tribunale di Camerino[13]: “Il danno biologico dinamico-relazionale è stato codificato dagli artt. 138 comma 2 lett. a) e 139 comma 2 del d.lvo n. 209-05 (“…incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita…”). Esso rappresenta una zona di confine con la categoria del danno esistenziale, ove si definisca quest’ultimo come danno alla somma delle attività realizzatrici della persona umana. Quindi, il rischio della duplicazione (biologico + esistenziale, per il medesimo pregiudizio al fare areddituale della persona) esiste, ma si può evitare mediante una rigorosa individuazione del diritto costituzionale inviolabile dalla cui lesione far derivare il danno esistenziale. È necessario, quindi, distinguere. Quando vi sia lesione del solo diritto costituzionale alla salute, la generica categoria delle attività realizzatrici della persona umana è riconducibile (per il suddetto dettato del legislatore) al danno biologico dinamico– relazionale medio, e quindi non può essere liquidato un ulteriore danno esistenziale, mediante una inammissibile duplicazione (conf. Cass., sez. III, n. 9510-07). Quando invece alla lesione del diritto costituzionale alla salute si accompagni la lesione di un altro diritto costituzionale (es. diritto della persona al godimento della famiglia, leso a causa delle lesioni psico–fisiche subite in un sinistro stradale) sarà normalmente liquidabile anche il danno esistenziale (quello c.d. parentale, nel caso di cui all’esempio precedente). In sintesi: il pregiudizio alle attività realizzatrici della persona umana conseguente alla lesione del diritto costituzionale alla salute (art. 32 Cost.) è assorbito dalla liquidazione del danno biologico; perché al danno biologico si aggiunga un danno esistenziale in senso tecnico occorre individuare (ma ciò non è avvenuto nel caso che ci occupa) un ulteriore diritto costituzionale (oltre e diverso da quello alla salute) che sia stato leso nel caso concreto”. Anche la giurisprudenza di merito successiva alle sezioni unite avalla tale lettura. Valga per tutte la sentenza del Tribunale di Torino del 27.11.08 che riconosce la congiunta risarcibilità del danno biologico, della sofferenza connessa al medesimo e della “sofferenza derivante dal ‘non poter fare’ che deve essere positivamente dimostrata dando la prova delle attività cui prima si era dediti e che oggi sono precluse”.

Anche tra i primi commenti dottrinali a corredo delle sentenze gemelle del S.U. troviamo considerazioni che confortano quanto sinora affermato. In particolare, Giuseppe Cassano ha così commentato: “quello che può certamente dirsi, tirando le fila del discorso, è che tutti gli interessi di natura esistenziale, seguendo le argomentazioni delle sezioni unite – che pure, lo si ripete, negano autonomia al danno esistenziale – possono essere risarciti, purchè non si insista troppo sul sintagma ‘danno esistenziale’. Occorrerà nei singoli casi concreti dimostrare l’evento lesivo e chiedere il conseguente risarcimento anche del danno non patrimoniale per aver l’evento stesso leso un diritto costituzionalmente tutelato (anche che trovi una copertura costituzionale)”[14]. Lo stesso Cassano chiosa affermando: “si tratterà di invertire il ragionamento; non cercare di individuare il fondamento del danno esistenziale, ma individuare il referente normativo costituzionale dell’interesse o del diritto che portiamo in giudizio”.

Ergo, possiamo, senza tema di smentite, asserire che l’unico discrimine per stabilire se vi sia, in una determinata fattispecie, un danno non patrimoniale definibile (a meri fini descrittivi) come esistenziale e risarcibile in aggiunta al danno biologico, è la ricorrenza della lesione di un diritto inviolabile in maniera seria e grave: “il pregiudizio di tipo esistenziale, per quanto si è detto, è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria”. Sempre che non ricorra una fattispecie di reato, nel qual caso il danneggiato sarà esentato anche da tale indagine per quanto sopra illustrato. Non rimane che chiedersi quali siano, attualmente, questi diritti inviolabili il cui vulnus consente la ristorabilità del pregiudizio esistenziale. Diciamo ‘attualmente’ perchè sono le stesse sezioni unite a spiegare che “la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale, indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana”.

Ebbene, la Suprema Corte individua ipotesi di tali diritti nella reputazione, nell’immagine, nel nome, nella riservatezza, nella famiglia, nei diritti connessi alla dignità personale preservata dagli artt. 2 e 3 Cost., all’autodeterminazione, al consenso informato.

A questo punto, il problema diventa di ‘prova’ e di quantificazione. Quanto al primo aspetto sono le stesse sezioni unite a precisare: “per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva”. Quanto al secondo, si tratta di individuare dei percorsi metodologici che aiutino l’operatore a ‘fare i conti’ (letteralmente) con una posta risarcitoria che, pur rientrando nell’alveo del danno non patrimoniale, non conosce ancora un ‘sistema’ sicuro per passare dal piano delle enunciazioni, delle allegazioni e delle prove a quello della monetizzazione del ristoro. Per dirla con Giuseppe Cassano: “il problema infatti che si consegna al giudice che dovrà giudicare è quello della prova e della liquidazione del danno che ha alla base interessi esistenziali con copertura costituzionale (e che secondo le sezioni unite è risarcibile). Non basta dire che sarà il giudice a provvedere al risarcimento, ma va indicata una strada un po’ più concreta”[15].

Per parte nostra, in attesa di futuri contributi volti ad agevolare il non semplice compito degli operatori del diritto di tradurre in pratica le enunciazioni di principio e i tentativi di sistematizzazione della materia, non possiamo che rimarcare il passo in avanti rappresentato dalla proposte metodologiche della presente guida, almeno con riguardo alla valutazione del danno biologico (nella sua componente dinamico-relazionale) e della sofferenza morale. [1] Cass. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972/08. [2] PASCOTTO B., La resurrezione del danno morale dopo la pronuncia delle sezioni unite della Cassazione in Assinews 195, pp. 76-78 [3] Trib. Milano, 19 febbraio 2009, n. 2334. [4] Trib. Bologna, 29 gennaio 2009, n. 20076. [5] Trib. Torino, 17 marzo 2009. [6] Cass., 12 dicembre 2008, n. 29191. [7] Trib. Perugia, 31 gennaio 2001. [8] CENDON P., Premessa a le prove e la liquidazione dei danni non patrimoniali dopo le S.U., di CASSANO G., Milano 2009, p. 35. [9] PALMIGIANI I., Danno esist. e danno biol.: questo e quello per me pari (non) sono, in Resp. Civ, e Prev. 2008, 10, p. 2. [10] Trib. Milano, 30 aprile 2007, n. 5104. [11] FACCI G., Verso un decalogo delle Sezioni Unite sul danno esistenziale?, in Resp. Civ, e Prev. 2008, 7-8, pp. 4-5. [12] Cass., 02 febbraio 2007, n. 2311. [13] Trib. Milano, 30 aprile 2007, n. 5104. [14] CASSANO G., Le prove e la liquidazione dei danni non patrimoniali dopo le S.U., Milano, 2009, pp. 11 e ss. [15] CASSANO G., Le prove e la liquidazione dei danni non patrimoniali dopo le S.U., Milano, 2009, p. 13.

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