Godiamoci il the caldo prima della doccia fredda

Come diceva quel tale: ‘non succede, non succede, ma se succede…’. Per quanto si stenti a crederlo, potrebbero profilarsi delle novità positive per tutti coloro che, nel mondo dell’RCauto, appartengono alla parte debole e non a quella forte. Insomma, alla categoria dei danneggiati, delle vittime di incidenti, dei patrocinatori stragiudiziali e degli avvocati e non a quella delle potentissime lobbies del ramo assicurativo. Vale a dire le corporations che fanno, da decenni, la parte del leone incrementando i propri portafogli sulla pelle di chi li ha già svuotati per pagare i famosi ‘premi’. Pare, infatti, che nel disegno di legge concorrenza, giacente al Senato in seconda lettura, siano in predicato di passare alcune meritorie e benefiche proposte sotto forma di emendamenti del Movimento 5 stelle, di Forza Italia e di Sinistra e libertà. Ci riferiamo soprattutto allo stralcio dell’obbligo di accertamento strumentale dei colpi di frusta. Questa assurda imposizione, introdotta nel 2012, ha consentito alle compagnie di ridurre ai minimi termini gli esborsi a titolo risarcitorio, impedendo ai medici legali di riconoscere (in assenza di una radiografia o di un esame equivalente) la sussistenza delle invalidità micro-permanenti causate dai cosiddetti colpi di frusta. Con un tratto di penna, e con l’utilizzo di locuzioni sgrammaticate e di opinabile interpretazione, il legislatore ha cancellato un secolo di letteratura e di dottrina imponendo alla classe dei consulenti specializzati in medicina-legale di svolgere il proprio lavoro come scienza e coscienza comandano. Il tutto in nome di una malintesa e ipocrita moralizzazione del settore RCauto, una crociata animata, in realtà, dalle peggiori intenzioni: puramente lucrative e di crudo business. Ora si pretenderebbe che le stesse intenzioni ispirassero non solo le attività meramente commerciali, ma anche quelle ancora dotate di un dignitoso standard intellettuale ed etico (in primis, il lavoro di chi difende e rappresenta le vittime di eventi avversi o luttuosi). La norma che i menzionati emendamenti puntano ad abolire, secondo l’Ania, l’associazione delle compagnie assicuratrici, avrebbe permesso “una diminuzione dei danni fisici lievi da 580.000 del 2011 a 370.00 del 2014, con 210.000 feriti in meno e risparmi per 1 miliardo l’anno”. Con una capriola linguistica da applausi, le assicurazioni con-fondono il piano del linguaggio con quello della realtà. E giungono al punto di vantarsi per un ‘fatto’ che ha del miracoloso: la sparizione, con un tocco legislativo, di centinaia di migliaia di lesioni e, quindi, di un esercito di doloranti feriti. In verità, com’è intuitivo anche per l’uomo della strada, le vittime delle microlesioni non si sono affatto smaterializzate nel nulla, ma sono state semplicemente deprivate di un diritto costituzionalmente garantito: quello, sacrosanto, alla tutela della propria salute. Formulato l’auspicio che la citata proposta di modifica possa varcare indenne le forche caudine di Palazzo Madama, evidenziamo anche un altro interessante emendamento: il divieto (per le imprese del ramo) di offrire ai clienti il servizio delle carrozzerie convenzionate che ha costretto, nel corso del tempo, carrozzieri molti bravi ed esperti a una umiliante corsa al ribasso per inseguire le tariffe irrealistiche e fuori mercato dettate dalle Compagnie. Infine, c’è un ultimo grido di dolore dell’Ania che ci fa molto piacere: quello levato al cielo di fronte all’ipotizzato aumento dei valori risarcitori attualmente previsti dalle cosiddette tabelle milanesi per le lesioni di rilevante entità. “Se il valore si alza”, si lamentano le Compagnie, “anche l’assicurazione costa di più”. Questo slogan è tanto insistente e pervasivo quanto si sono rivelati sistematici e inesorabili gli incrementi dei premi da parte dei colossi dell’Rcauto, a dispetto di tutte le norme ad aziendam di cui gli stessi hanno beneficiato, un anno dopo l’altro. Inevitabile, quando si applica a un settore delicato e di impatto sulla vita degli esseri umani (come quello in questione) l’estetica dell’utile di cassa anziché l’etica dell’utilità per la persona.

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