Rivogliono i soldi dalla bimba macrolesa: tanto vivrà poco

C’è qualcosa di peggio di non ottenere giustizia in tempi ragionevoli? Sì: ottenerla per poi rischiare di perderla. Parliamo di un caso eclatante di malasanità. Il Tribunale di Rovigo, nel Settembre dello scorso anno, ha condannato l’Azienda Ulss n. 18, ora Azienda ULSS 5 Polesana, oltre a due sanitari della stessa struttura, a risarcire circa 5.100.000 euro di danni a favore di una bambina nata nel 2008 tetraplegica e sordo-cieca, a causa di un ritardato taglio cesareo. Anche per effetto del clamore mediatico suscitato dalla storia, le compagnie assicurative coinvolte, inizialmente riluttanti, provvedevano a saldare una parte consistente del debito e, allo stesso tempo, proponevano appello. Ebbene, il 12 marzo, gli appellanti – al fine di ottenere la restituzione almeno di una parte di quanto erogato – hanno presentato in giudizio una consulenza che attesterebbe l’esigua speranza residua di vita della bimba.

Tale iniziativa sta suscitando – comprensibilmente, sul piano emotivo e del comune senso di giustizia – reazioni scandalizzate, ma forse è il caso di analizzare con più attenzione le ragioni giuridiche sottese alla pretesa assicurativa. Potremo così scoprire che vi sono aspetti inquietanti non solo e non tanto nella storia in sé quanto, piuttosto, nell’intero sistema risarcitorio italiano. In primo luogo, va sottolineato un aspetto che può sembrare assurdo all’uomo della strada. Le cosiddette “tabelle” per calcolare, in vil moneta, il risarcimento dovuto alle vittime di gravi infortuni – dal 10 al 100 per cento di invalidità permanente –, avrebbero dovuto essere emanate fin dal 2001 per effetto di quanto previsto da una legge di riforma sulla Rc-auto. Non è però accaduto, benché da quasi vent’anni esse siano febbrilmente attese dagli addetti ai lavori. E ciò, nonostante il Nuovo Codice delle Assicurazioni del 2005 e la legge “Concorrenza” del 2017 abbiano ribadito la necessità della sollecita emanazione di una tabella unica nazionale che si applicherebbe anche alla responsabilità medica per quanto previsto dalla legge “Gelli-Bianco” del 2017.

Quindi, anche a causa della latitanza dei nostri esecutivi, i macro-danni vengono attualmente risarciti, sia in Rc-auto che in malasanità, facendo uso di tabelle di matrice giudiziaria, create cioè dai tribunali. In particolare, ora si fa riferimento, su tutto il territorio nazionale, alle tabelle elaborate dall’Osservatorio della Giustizia del Tribunale di Milano. Esse funzionano come vere e proprie matrici di calcolo che incrociano l’età della vittima del sinistro con la percentuale di invalidità riportata a causa dello stesso. Per esempio, un neonato venuto al mondo, come nel caso di Eleonora, con una malformazione totale, avrebbe diritto a un risarcimento base, per il solo danno non patrimoniale, pari ad almeno 1.220.000 euro. E qui si annida il pretesto su cui si fonda la pretesa restitutoria delle compagnie di assicurazione di cui abbiamo parlato in apertura. Entra, cioè, in gioco l’ultima versione delle Tabelle di Milano, licenziata nel marzo 2018, dove si prevede che – nel caso in cui l’infortunato deceda prima della fine naturale della propria esistenza (che, in Italia, è stimata in circa 85 anni per le donne e in circa 82 anni per gli uomini) – alla vittima dovrà essere erogata una somma di gran lunga inferiore rispetto a quella canonica.

Le nuove tabelle prevedono, per un caso come quello di specie, un risarcimento pari a 91.755 euro in caso di sopravvivenza per un biennio e pari a 26.216 euro per ogni anno successivo fino all’effettivo decesso prematuro. In soldoni, se per ipotesi la vittima morisse dopo dieci anni dalla nascita, le spetterebbero 353.915 euro anziché 1.220.000. Il problema, nel caso analizzato, è che Eleonora è viva e, quindi, in linea di principio non dovrebbero esserle applicati i nuovi criteri milanesi. Ma il problema ancora più grande, allargando la prospettiva, è che, con questo format, la possibilità di ottenere davvero un ristoro completo dei pregiudizi patiti diventa un terno al lotto. Cosa accade, infatti, se il danneggiato passa a miglior vita “dopo” la cristallizzazione del danno, per via medico-legale, con quantificazione della sua invalidità (e relativa monetizzazione), ma “prima” di ottenere la conseguente liquidazione in sede transattiva o “prima” della conclusione definitiva di un processo? Egli incapperà nella ghigliottina costituita dai nuovi parametri di cui sopra.

Ciò comporta una serie di conseguenze paradossali: per esempio, un trattamento totalmente difforme tra i danneggiati a seconda che il decesso prematuro sia intervenuto dopo la transazione o la sentenza definitiva (che “blindano” le somme) oppure prima di esse (nel qual caso scatta la “deminutio”). Ma si può approdare anche alla surreale situazione di Eleonora dove la compagnia assicurativa si porta avanti con il lavoro, per così dire, e – in previsione di un “pronosticato” prossimo decesso – anticipa la richiesta di restituzione di una parte consistente del risarcimento nel frattempo corrisposto. È del tutto evidente l’iniquità del sistema perché, ancorando i valori risarcitori a una variabile aleatoria e imprevedibile come la morte prematura di una vittima macrolesa, affida le stime del danno non patrimoniale a fattori del tutto incerti o casuali legati alla tempistica dei risarcimenti e alla buona o alla cattiva sorte dei loro destinatari. È, altresì, iniqua perché potrebbe indurre i responsabili e i loro assicuratori a comportamenti ostruzionistici o dilatori finalizzati a procrastinare il più possibile le trattative o le cause. Magari nell’attesa che un evento irreparabile possa dare una bella sforbiciata ai loro debiti. Un’ingiustizia palese, ma provvidenziale per le casse delle compagnie di assicurazione. Ciò non deve stupire, visto che le novità normative, giurisprudenziali e di prassi degli ultimi anni sono state quasi sempre a beneficio delle grandi corporation del ramo in questione.