L’interpretazione psicologica del delitto di plagio

La schiavitù psicologica L’interpretazione psicologica del plagio Le argomentazioni portate dai giudici di merito di primo e di secondo grado nella sentenza sul caso Braibanti, che trovano conferma anche nel giudizio di legittimità, avevano aperto definitivamente la strada ad un’interpretazione psicologica del delitto di plagio.

Innanzitutto, bisogna precisare che in questa prospettiva, secondo una prima tesi, il plagio può essere attuato mediante mezzi di coazione sia fisica che psicologica, mentre, in base ad una seconda tesi, il plagio deve essere letto in chiave esclusivamente psicologica.

Il plagio si realizza quando c’è uno svuotamento della volontà di un altro uomo; quando il soggetto attivo del reato sostituisce alla personalità della vittima la propria, in modo da farlo diventare una longa manus di sé, un automa completamente sotto il suo potere.2 L’interpretazione psicologica del delitto di plagio trova tra i suoi sostenitori due autorevoli giuristi quali Giuseppe Zuccalà e Pietro Nuvolone.

Un aspetto problematico dell’interpretazione psicologica del reato di plagio è stabilire quando vi sia “totale” stato di soggezione e dunque quando il condizionamento sia penalmente rilevante. Tuttavia la difficoltà di tale accertamento non deve portare a negare la necessità dell’esistenza di una norma che reprima tali comportamenti.3

Giuseppe Zuccalà, afferma che, affinché sussista “totale” soggezione, la volontà del soggetto deve essere annientata in relazione, non solo alla sua manifestazione, ma anche alla sua formazione.4 Elemento essenziale del delitto in questione è la suggestione, mezzo criminoso tipico del plagio, mediante la quale il soggetto-incube attua un controllo dell’attività psichica del soggetto-succube. La condotta tipica del delitto in esame sarebbe, dunque, questo potere suggestivo, che costituisce una forma di violenza “impropria”, esercitata direttamente sulla psiche della vittima.5

Dopo l’instaurarsi del particolare rapporto di coazione psicologica, la vittima non è più in grado di operare delle scelte secondo volontà. La limitata attività umana del soggetto passivo del reato si presenta in una forma “inferiore”, potendo solo ricevere sollecitazioni “senza scelta e senza reazione”, come se si trattasse di una forma di automatismo. La condizione della vittima impedisce il naturale esplicarsi dell’attività umana nella sua forma “superiore” di attività riflessa e controllata.6

Il plagio, secondo Zuccalà, può essere definito come “coazione alla facoltà di una persona di formare e realizzare liberamente il suo volere”. La vittima di plagio si ritrova a seguire senza critica quanto viene suggerito e comandato dall’incube, tanto che Zuccalà ritiene che il succube sia ridotto addirittura in uno stato di incapacità di intendere e di volere, in senso tecnico.7

Qualora, invece, la vittima si trovi già nello stato di incapacità, dovuto a infermità totale, da un lato sarebbe difficile esercitare nei suoi confronti un processo suggestivo, dall’altro non potrebbe esserci offesa della personalità individuale, a causa dell’incapacità in cui versa l’offeso, quindi non si verificherebbe l’evento dannoso.8

In opposizione all’interpretazione in chiave sociologica di Giovanni Maria Flick, relativa al rapporto plagiante-plagiato,9 Pietro Nuvolone afferma che, non tanto si deve porre l’attenzione sull’aspetto della socialità della persona, quanto piuttosto è necessario domandarsi se lo stato di soggezione psichica della vittima del reato di plagio debba o meno corrispondere ad una condizione patologica dal punto di vista psichiatrico.

La questione ha un’indubbia rilevanza pratica e giuridica; infatti, da un lato lo sfruttamento di una situazione di incapacità potrebbe costituire il presupposto per la sussistenza di altri reati, dall’altro, se la vittima del plagio fosse sempre incapace d’intendere e di volere, ne sarebbe esclusa la responsabilità penale, nell’eventualità che commettesse dei reati e si dovrebbero imputare i fatti commessi al soggetto dominante. Per risolvere la questione si dovranno considerare, oltre al concetto di capacità di intendere e di volere, anche alcuni principi della psichiatria. Nuvolone constata che non sempre, nell’instaurarsi di un rapporto di soggezione tra due soggetti, quello succube si trova in una situazione di infermità psichica completa o parziale, anche se questo stato nel soggetto dominato può facilitare l’opera plagiante dell’agente.

Tuttavia, in altri casi, sebbene possa permanere integra nel soggetto passivo la capacità di intendere, può essere esclusa o menomata la capacità di volere, indipendentemente dalla sussistenza di uno stato patologico, ma in conseguenza di “fatti di induzione psichica di tipo suggestivo, che escono dal campo dell’infermità.”

Nuvolone conclude, in base a queste considerazioni, che l’infermità di mente, provocata o meno dall’agente, debba essere ritenuto solo come un presupposto e uno strumento, meramente possibile, ma non necessario, per indurre la vittima nello stato di soggezione.10

Non in ogni caso, dunque, l’agente pone il soggetto dominato in uno stato di incapacità di intendere e di volere in senso tecnico, per cui non sussiste sempre mancanza di imputabilità della vittima come ritiene, invece, Zuccalà. Al fine di verificare la sussistenza del delitto di plagio è sufficiente che il rapporto instauratosi tra due soggetti comporti che l’uno abbia una “preponderanza psichica” nei confronti dell’altro; detta “preponderanza” è indice dell’anormalità del condizionamento che comporta grave limitazione o annullamento della libera volizione del soggetto dominato.11

La definizione di plagio di Nuvolone risulta dunque questa: “fatto di colui che dolosamente al fine specifico di paralizzare un’autonoma estrinsecazione della personalità del soggetto e di ridurlo, quindi nel proprio dominio, pone in essere determinati mezzi che incidono sulla psiche facendone quasi una longa manus o un’appendice dell’autore del reato”.12 Il plagio: un reato impossibile?

Parlare di soggezione in senso psicologico come ha fatto la giurisprudenza  in ordine al caso Braibanti  comporta, secondo l’opinione di alcuni giuristi, una serie di problemi: viene innanzitutto posta in discussione la stessa possibilità di sussistenza di una suggestione, che possa definirsi “totale”. E quand’anche se ne ammetta l’esistenza, altre critiche sono mosse in ordine alla difficoltà del suo accertamento, non potendosi far rinvio ad un parametro scientifico certo.13

All’interpretazione psicologica del delitto di plagio si oppongono coloro i quali sostengono che anche solamente ammettere a livello teorico la possibilità di una reificazione dell’uomo a livello psichico sia da considerarsi offensiva della dignità umana. Essi ritengono che non sarebbe possibile impadronirsi della psiche di un altro uomo, ed è irrealizzabile una soppressione morale del soggetto passivo, per cui il delitto di plagio è un “reato impossibile”.14

Taluni lo paragonano addirittura ai delitti di stregoneria in quanto, secondo questa visione del delitto, l’autore dovrebbe essere visto come un “invasore di spiriti”.15

A sostegno dell’impossibilità del configurarsi nella realtà dell’ipotetico stato di “totale” soggezione, alcuni giuristi basano le proprie argomentazioni in riferimento ad alcuni assunti della scienza psicologica, che escludono la possibilità di un “impossessamento di spiriti, del furto di un’anima”.16

Tra argomentazioni portate a riguardo dell’impossibilità della realizzazione dell’ipotesi prevista dall’art. 603, ci sono deduzioni di carattere psicologico sull’impossibilità di influire su un soggetto normale, in modo da determinarlo a comportamenti voluti dal soggetto dominante, padrone della psiche della vittima. In particolare viene spesso citato il caso dell’ipnosi, che potrebbe sembrare il metodo più invasivo della psiche di un altro soggetto. Tuttavia, neppure attraverso questa pratica si raggiunge un controllo completo tale da determinare automatismo nel comportamento indotto.17

Anche nello stato ipnotico, in cui viene ristretta la coscienza e condizionata la facoltà di percepire il mondo esterno e il soggetto può essere indotto a compiere gli ordini impartiti dall’ipnotizzatore, questi non ha un potere assoluto sull’ipnotizzato, in quanto quest’ultimo non compirà atti contrari alla propria indole, come hanno dimostrato alcuni esperimenti. Pertanto non si realizza quella totale soggezione richiesta dalla norma, dunque non c’è offesa della personalità del soggetto. Ed è proprio la personalità della vittima a determinare quella resistenza, che non consente di lasciarsi guidare a compiere atti contrari ai propri principi.18

Altri affermano che la suggestione può essere posta in essere soltanto mediante ipnosi; tuttavia, poiché, nemmeno in questo caso, si verifica un annullamento della volontà non sussiste una reificazione dell’ipnotizzato e quindi non si configura il plagio.19

Tra le argomentazioni più frequenti, portate contro l’interpretazione psicologica del plagio, ci sono quelle che si basano sull’osservazione che anche in molte quotidiane relazioni inter-individuali si instaura un rapporto di soggezione e condizionamento. Sono tali, ad esempio, il rapporto amoroso, il rapporto tra maestro e allievo, il rapporto genitori-figli e il rapporto psicanalista o psicologopaziente.20

Ogni individuo si trova continuamente in situazioni di “dipendenza spirituale” da altre persone e dunque in tutti questi rapporti sussiste un condizionamento reciproco tra persone. Ne consegue che i casi in cui l’art. 603 troverebbe applicazione sarebbero davvero eccessivi e ci si chiede, allora, se tutti questi rapporti debbano essere penalmente perseguiti.21

Ammettendo che si possano distinguere le ipotesi giuridicamente rilevanti, quando cioè la dipendenza sia “totale”, da quelle in cui, non sussistendo una tale dipendenza, non interverrà la sanzione, sarebbe tuttavia estremamente difficile dimostrare la diversità di situazioni nel caso concreto. Secondo una simile interpretazione, la norma sul plagio diventa uno strumento di controllo sociale, di repressione, costituente un limite per la libertà di pensiero.22

L’art. 603 allora è suscettibile di essere applicato con arbitrio, non essendo chiari e definiti i contenuti della norma, spesso condizionati dall’ideologia dominante o rivolgersi contro i comportamenti anticonformisti, divenendo possibile “strumento di discriminazione, di repressione e di persecuzione ideologica”.23

Eccessivo, dunque, il pericolo di uno sconfinamento in processi alle idee o contro coloro che contraddicono la morale corrente, come nel “Caso Braibanti”, per cui sarebbe stato più opportuno eliminare una simile norma dal Codice penale.24

Il plagio: un reato possibile Le opinioni citate al paragrafo precedente sembrano, secondo l’opinione di altri giuristi, ormai superate dai fatti. Purtroppo, al di là di affermazioni di principio sull’inespropriabilità della persona umana, si deve constatare come, invece, plagiare una persona sia oggettivamente possibile. Inoltre ci sono individui, i quali agiscono con la volontà specifica di spersonalizzare altre persone, al fine di ridurle in loro potere. Il problema si è ripresentato, più di recente, a proposito della crescente diffusione di “sette religiose” che attuano tecniche e metodi di persuasione e di condizionamento mentale, appositamente studiati al fine di proselitismo.25

Alcuni giuristi rivolgono particolare attenzione al pericolo costituito dall’uso delle moderne tecniche come quella del brainwashing, “lavaggio del cervello”, che portano ad una spersonalizzazione del soggetto ad esso sottoposto.26

Nonostante la proposta avanzata in Parlamento per l’abrogazione del delitto di plagio, al contrario, una parte della dottrina sostiene l’ opportunità di mantenere l’art. 603, pur con opportuni limiti di applicazione, non lesivi della libertà di manifestazione del pensiero.27

Zuccalà e Nuvolone, sostenitori di un’interpretazione delitto di plagio come forma di schiavitù psicologica, ritengono che una simile norma risponda all’esigenza di una piena tutela della persona, in quanto tale reato offende la dignità stessa dell’uomo.28

In opposizione alla tesi dell’impossibilità del verificarsi di una “totale” soggezione, Salvatore Satta considera inconsistente il ragionamento di chi sostiene l’incoercibilità della volontà umana, essendo questa volontà essenzialmente libera. Inoltre, egli critica la tesi per cui è impossibile ridurre una persona a res, esercitando su essa un potere nella sua sfera psichica. Satta, infatti, sostiene che di volontà assolutamente libera si possa parlare solo a livello puramente astratto, mentre a livello concreto si constata la vulnerabilità dell’uomo, messa in evidenza soprattutto nell’era della società di massa, che non è altro che il risultato di un “immenso plagio”.29 L’idea del plagio, afferma Satta, è nata con l’umanità stessa, in conseguenza del naturale condizionamento reciproco tra gli uomini; quando, però, la volontà venga completamente soggiogata, senza possibilità autonoma di scelta tra agire o non agire, e si manifesti con quell’elemento di “totalità”30 indicato dall’art. 603, si sconfina nel penalmente rilevante. Satta porta come esempio di una simile soggezione proprio quella verificatasi nel “caso Braibanti”.31

Al fine di comprendere meglio lo stato di soggezione, che può instaurarsi tra plagiante e plagiato, mi sembra opportuno riportare anche alcune considerazione di carattere più strettamente psichiatrico-psicologico. Guglielmo Gulotta, ordinario di Psicologia all’Università di Torino, interviene in materia di plagio, analizzando i metodi di “trasformazione del pensiero” e i sistemi di convincimento appositamente adottati con l’intenzione di “ristrutturare un’intera personalità” e di “sgretolare l’autonomia psicologica”. A dimostrazione che non sarebbe impossibile agire sugli stati profondi dell’Io, Gulotta porta un esempio storico, ricordando il lavaggio del cervello praticato dalle S.S. tedesche. Queste tecniche comportano la destrutturazione dell’autonomia primaria e anche dell’autonomia secondaria del soggetto, in modo da suscitare regressioni dell’Io, portando ad un totale asservimento al volere dell’agente.32 Questi casi sono riconducibili alla fattispecie descritta nel delitto di plagio, che può essere inteso come schiavitù psichica. All’art. 600 sono invece riconducibili la riduzione in schiavitù di diritto, e le altre condizioni analoghe, non solo di diritto, ma comprensive anche di forme di schiavitù di fatto, relative, però, a condizioni materiali e fisiche. Gulotta afferma che sarebbe così storicamente dimostrata la “possibilità di dirigere la volontà altrui in modo totale tanto da modificare la personalità, l’ideologia ed il comportamento”, mediante l’applicazione di tecniche di brainwashing.33 A differenza di altre relazioni interpersonali, che alcuni ritengono possano ricadere nella fattispecie criminosa del plagio, la soggezione, richiesta dalla norma, deve essere “totale”; inoltre, bisogna che sussista il dolo, cioè l’intenzione di assoggettare un’altra persona al proprio volere. Gulotta contesta, dunque, sul piano scientifico, la posizione di coloro che vorrebbero l’abrogazione del plagio, poiché la possibilità di un dominio psicologico completo su un altro individuo, sebbene difficile, non è da escludersi a priori. Al contrario, sarebbe auspicabile la creazione di ulteriori norme che possano efficacemente contrastare le nuove tecniche manipolative della personalità.34 Il giurista Michele Del Re, che ha approfondito la conoscenza di queste tecniche, sempre più raffinate, ha individuato come bene giuridico tutelato dall’art. 603 l’“integrità psichica”, che non può essere intesa se non come un tutt’uno con l’integrità fisica. Il bene tutelato è, quindi, la persona umana nel suo complesso, di cui integrità fisica e psichica sono due aspetti inscindibili.35 Da questa affermazione discendono alcune considerazioni in merito al delitto di plagio. Non si dovrà valutare il contenuto del comando imposto dall’agente, né sarà necessaria un’indagine sulla distinzione tra suggestione criminosa e condizionamento, inteso come persuasione razionalmente motivata. Infatti, secondo l’opinione di Del Re, elemento essenziale della condotta del plagio è l’uso di determinati mezzi di condizionamento, idonei far perdere all’individuo la propria autonomia del volere.36 Il plagio è dunque una realtà concreta, non un reato impossibile, il lavaggio del cervello porta ad una assoluta spersonalizzazione dell’uomo, che agisce sotto condizionamento di una o più persone, fatto ben diverso dal convincimento, anche emotivamente impegnato.37 Avv. Giulia Drioli dal capitolo III, p.107 – 120, della tesi di laurea: “I reati di schiavitù nell’esperienza giuridica tra libertà dell’individuo e dignità della persona” 1 P. Benassi, Alcune note in tema di plagio, in “Indice penale”, 1979, p. 97. 2 P. Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, in Studi in onore di Biagio Petrocelli, tomo terzo, Giuffrè, Milano 1972, p. 1283; Dessì, Appunti in materia di plagio, cit., pp. 354, 355; Flick, La tutela della personalità nel delitto di plagio, Giuffrè, Milano 1972, p. 87. Secondo Paolo Benassi si avrebbe totale soggezione già nel momento dell’annullamento della vita interiore di un uomo, senza che sia necessario anche l’ulteriore momento del riempimento di contenuti estranei alla struttura psicologica della vittima. L’elemento oggettivo del plagio si riferisce al rapporto che si instaura tra soggetto attivo e soggetto passivo, per cui quest’ultimo è privato della facoltà di liberamente volere e la sua volontà viene annientata nel suo integrale contenuto (Benassi, Alcune note in tema di plagio, cit., p. 97-99). 3 M. Gozzano, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., p. 120. I favorevoli all’interpretazione psicologica sono convinti che vi sia un confine tra comportamento lecito e illecito, poiché la norma parla di “totale” soggezione e, nel momento in cui questa si verifichi, anche un comportamento relazionale fino ad allora lecito può essere considerato plagio. Ad esempio, Pietro Nuvolone opera una distinzione tra condizionamenti “normali”, che lasciano comunque integra la personalità psichica della persona e condizionamenti “anormali” che annullano la sfera interiore dell’uomo. Queste due categorie possono essere desunte mediante una lettura sistematica del Codice penale. Infatti nel Codice è previsto come reato l’istigare altri al compimento di illeciti e ciò significa che il legislatore presuppone la validità di un divieto di influire in senso antigiuridico sulla volontà altrui. Con tali argomentazioni Nuvolone intende superare anche l’eventuale obiezione, fondata sull’ipotesi deterministica, ad un’interpretazione psicologica del plagio. Secondo l’ipotesi deterministica “ognuno è condizionato da fattori esterni che si possono trovare sia nella famiglia, sia nella società, sia, genericamente, nei rapporti tra uomini e cose”. Il legislatore ritiene possibile, ma non necessaria la subordinazione di una persona ad un’altra e distingue i condizionamenti leciti, da quelli penalmente rilevanti (Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, cit., p. 1279). 4 G. Zuccalà, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1972, pp. 362. 5 Zuccalà, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, cit., p. 365. 6 Zuccalà, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, cit., p. 364. 7 Zuccalà, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, cit., pp. 369, 370, contra Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, cit., p. 347; Tursi, Principi costituzionali e reato di plagio, cit., pp. 353, 358. Pur trattandosi di soggetto passivo del reato, afferma Zuccalà, il significato attribuito all’incapacità di intendere o di volere non potrà essere diverso da quello che assume rispetto al presunto colpevole. Nella nota n° 36 alle pp. 379, 370 Zuccalà ricorda che non è l’unico reato nel quale si farebbe riferimento all’incapacità di intendere o di volere, rispetto al soggetto passivo, infatti egli ricorda i seguenti articoli del Codice penale: 86, 613, 628 n. 2 cpv., 629 cpv. “non vi sarebbe ragione alcuna per individuare il significato e l’ambito di tale  incapacità  di ricorrere a criteri e principi diversi da quelli che vigono in tema di non imputabilità del reo; anche perché , potendo il soggetto passivo, incapace, divenire a sua volta autore di un fatto criminoso (come prevede, del resto, la stessa norma che lo tutela: art. 613, 2 cpv.), sarebbe incoerente ed ingiustificato giudicarlo, in ordine alla sua incapacità, sulla base di criteri e parametri diversi.” 8 Zuccalà, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, cit., p. 369-374. Anche Mario Gozzano (Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 120, 121) afferma che è sottinteso che il succube sia una persona “normale”, non di un “incapace”. In senso contrario si esprime, invece la Corte d’Assise, (C. Ass. Roma, sent. 14 luglio 1968, cit., p. 171) che afferma: “Questo della libertà individuale è un diritto indisponibile, irrinunciabile, proprio di ogni persona indipendentemente dalla sua condizione per capacità di intendere e di volere, per età, sesso, posizione sociale e stato psichico: soggetti di capacità giuridica piena oppure fanciulli, minorati, incapaci posseggono allo istesso modo tale diritto, il diritto cioè di non subire limitazione alcuna oltre quella che deriva ad essi dalla legge o che per effetto e nei limiti della legge su di essi vengano ad operare da chi in determinate situazioni è giuridicamente ad essi preposto”. Ci si potrebbe tuttavia domandare se, parlando di incapacità di intendere e di volere, non si ricada nell’ipotesi ex. 613 c.p., che è rubricato “Stato di incapacità procurato mediante violenza” e il cui testo è il seguente: “Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia, o mediante somministrazione di sostanze alcoliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza consenso di lei in stato di incapacità d’intendere o di volere, è punito con la reclusione fino a un anno. Il consenso prestato dalle persone indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo 579 non esclude la punibilità.[…]”. Zuccalà mette in evidenza la differenza tra le due figure: nell’art. 613 la soggezione procurata è parziale, mentre perché si realizzi il delitto di plagio è necessaria una soggezione totale.

Sebbene in entrambi i reati il mezzo usato dall’agente consiste nella suggestione esercitata dal soggetto attivo che agisce nel processo di formazione della volontà, divenendo padrone dell’agire altrui, i due reati si differenziano per il diverso grado di suggestione, parziale o totale (ZUCCALÀ, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, cit., nota n° 41, pp. 371-374). Nella sua analisi sul delitto di plagio, anche Paolo Benassi si sofferma sulla questione. Mentre, secondo l’opinione di Zuccalà, la differenza tra i due delitti è di tipo quantitativo, vale a dire riguarda il diverso grado di soggezione procurata alla vittima, secondo Benassi la diversità tra i due reati è sul piano qualitativo, cioè si tratta di due tipi differenti di soggezione. Infatti nell’ipotesi ex. art. 613 l’agente incide sulla sfera psicologica della vittima, senza peraltro giungere a quella forma più grave di trasferimento dell’iniziativa della vita psicologica altrui e sostituzione con quella del soggetto attivo, che si verificherebbe, invece, solo nel plagio e che comporta il “ferimento della fonte da cui rampolla la capacità d’intendere e di volere”. Solo nel plagio c’è una “neutralizzazione della capacità di intendere e di volere, mentre nel reato ex. art. 613 è richiesta meramente la posizione del soggetto passivo in stato di incapacità di intendere e di volere. (Benassi, Alcune note in tema di plagio, cit., pp. 100-101). Zuccalà dissente da tale impostazione, in base alla quale si finisce per escludere implicitamente che sia richiesto uno stato di soggezione nell’ipotesi ex. art. 613. Egli, infatti, ritiene che, quando il mezzo usato per procurare l’incapacità sia il processo suggestivo, “il soggetto attivo diventa padrone del pensiero e dell’azione della vittima, mentre quest’ultima attualizza attività psichiche e comportamenti suggeriti dal soggetto incube.” (Zuccalà, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, cit., nota n° 41, pp. 371-374). 9 Elemento essenziale per individuare le ipotesi di plagio, secondo Flick, sarebbe il carattere di esclusività e totalità che assume il rapporto con l’agente, che impedirebbe alla vittima il contatto con terzi o con altre fonti di conoscenza. Questa mancanza di socialità, di cui l’individuo non può fare a meno, è l’elemento che determina le conseguenze lesive per la personalità del plagiato. (Flick, La tutela della personalità nel delitto di plagio, cit., pp. 127, 150-159). L’ordinamento deve tutelare ciascuno, in modo che possa sempre conservare la facoltà di scegliere e che possa sempre avere di fronte a sé più possibilità per un’adeguata percezione della realtà, non devono formarsi relazioni “a senso unico”, che precludano tutte le altre e portino al totale isolamento della vittima. (B. Callieri, G.M. Flick, I comportamenti indotti: aspetti psichiatrici e giuridici, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1973, p. 811). 10 Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, cit., pp. 1281, 1282. 11 Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, cit., pp. 1279, 1280. “Può esservi un rapporto da incube a succube in senso clinico, ma può esservi anche un rapporto dominante-dominato, che, alla luce della legislazione vigente, non potrebbe portare a un giudizio di negazione dell’imputabilità. In questo rapporto viene meno la volontà come estrinsecazione di una autonoma personalità, ma non può dirsi, in sé per sé, che ricorra quel vizio della volontà che porterebbe ad una esclusione della imputabilità. Potremo dire che è configurabile una menomazione del volere che, allo stato della legge vigente, non esclude necessariamente la imputabilità, pur potendo concettualmente classificarsi in via astratta tra le cause che escludono, o comunque attenuano, la capacità di volere in senso naturalistico.” 12 Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, cit., p. 1283. Ruggiero De Gaetano, che, invece è contrario ad un’interpretazione psicologica del plagio, non può ammettere che un uomo venga ridotto nella totale suggestione psichica di cui parla la norma, intesa come stato di incapacità di intendere e di volere autonomamente, mediante mezzi puramente suggestivi. Infatti, a detta dell’autore, sarebbe impossibile eliminare la capacità di essere psichicamente liberi, in quanto residuano sempre gli istinti primari, come quelli di conservazione e i principi profondi della moralità. Seguendo questo ragionamento, in teoria il plagio sarebbe possibile soltanto nei confronti di chi è già incapace, tuttavia nella pratica un tale individuo non ragionando più, non sarebbe nemmeno in grado di eseguire gli ordini impartiti dall’agente (R. De Gaetano, Plagio e suggestione, in “Temi romana”, 1972, p. 618). 13 Tra gli oppositori dell’interpretazione psicologica del delitto di plagio: i giuristi A. Gatti, R. De Gaetano, F. Mercadante, M. Manfredi, B. Menehello; inoltre M. Gozzano, ordinario di neurologia e psichiatria all’Università di Roma e C. Musatti, ordinario di psicologia all’Università di Milano. 14 F. Mercadante, Inespropriabilità della persona, in “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, 1969, pp. 149-153, “[…] nessun essere umano per natura, può patire, anche volendo, di essere, non che di diritto, neppur di fatto, trasformato in cosa; così come non può essere costretto a “fare il male”, perché anche l’immoralità cui fosse stato costretto, non sarebbe imputabile al violentatore se non nella misura di un’irrealizzabile di fatto! soppressione morale della   vittima.”; De Gaetano, Plagio e suggestione, cit., p. 613; M. Misul, Braibanti e le “anime belle”, in “Il Ponte”, 1969, pp. 301-303; A. Gatti, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 107, 108. 15 B. MENEGHELLO, Plagio, tra diritto e stregoneria, in “Quale giustizia” 1970, p. 100. “Con il plagio[…] siamo di fronte ad un’entità , almeno per ora, metafisica. Attorno ad essa nessun discorso e tutti i discorsi sono possibili secondo la nota legge della logica per cui da proposizioni incoerenti, o contraddittorie o prive di senso è possibile dedurre una qualsiasi proposizione e anche il suo contrario. Così dalle preposizioni che la dottrina e la giurisprudenza sono venuti costruendo attorno alla nozione di plagio si può arrivare a qualsiasi conclusione. Anche chi come noi, abbia personalmente qualche difficoltà a credere alle streghe e ai furti d’anima, dev’essere disposto ad ammettere per rispetto delle opinioni altrui, che in qualche dimensione dell’universo possano esistere il Sabba e il delitto di plagio.[…] molti osservano che lo scandalo non è nella permanenza nel nostro Codice penale di un “reato” che puzza di zolfo e di stregoneria, quanto la lezione di violenza repressiva e reazionaria che si ricaverebbe da vicende come quella di Aldo Braibanti […] Con tutto il rispetto per questo punto di vista, a noi pare invece che la lotta contro la arretratezza della nostra società, o, se si preferisce, il cammino verso una società più civile e più umana passi anche, e forse meglio, attraverso la abolizione di un istituto che è fuori del tempo.” 16 Mercadante, Inespropriabilità della persona, cit., p. 150; De Gaetano, Plagio e suggestione, cit., pp. 613, 614; MUSATTI, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., p. 133; MENEGHELLO, Plagio, tra diritto e stregoneria, cit., p. 100. L’espressione “invasore di spiriti” è usata da F. Mercadante in riferimento ad Aldo Braibanti; De Gaetano, Plagio e suggestione, cit., pp. 617, 618. Eventualmente un simile stato sarebbe raggiungibile solo attraverso l’uso di certe droghe come morfina e cocaina, nel momento in cui il soggetto non abbia completamente perdita la lucidità mentale. Osserva, però, che: “se si fa uso di sostanze alcoliche o stupefacenti per qualità o quantità idonee, al massimo, a produrre coartazione solo parziale della volontà altrui, siamo al di fuori del plagio per mancanza del requisito della ‘totalità’ della soggezione. Se invece l’alcolico o lo stupefacente è usato in misura o in maniera tali da produrre lo sconvolgimento totale della personalità altrui, il plagio, per ciò solo, non potrà di fatto mai sussistere poiché da un individuo “che non ragiona più” non si può ottenere neppure che egli esegua conseguenzialmente ciò che li si comanda.”. Inoltre, addirittura Cesare Musatti, ordinario di psicologia all’Università di Milano, spesso citato da chi vuole sostenere questa tesi, considera un “concetto da fumetti” pensare che esistano persone che con cattiveria o per desiderio di potere agiscano con dolo e pongano in essere mezzi idonei ad assoggettare completamente un’altra persona al proprio volere. Musatti ritiene, infatti, il plagio un “delitto impossibile”, non tanto perché non si possa verificare la soggezione da esso prevista, ma per il fatto che “non c’è modo di individuare un elemento di dolo nell’acquisto, considerato di per sé, di autorità, di prestigio, di amore, di potere psicologico, nei confronti di un’altra persona.” Il testo dell’articolo in questione sarebbe “grossolano” e rischia di diventare un possibile strumento di repressione e persecuzione ideologica, in quanto potrebbe essere applicato in misura eccessiva, anche nei confronti di chi non avesse alcuna intenzione criminosa. (MUSATTI, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 133-136). 17 GOZZANO, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 121, 122; Flick, La tutela della personalità nel delitto di plagio, cit., pp. 88-96. “È credenza diffusa, vorrei dire popolare, che tale possibilità si realizzi nell’ipnosi indotta, durante la quale l’ipnotizzatore potrebbe imporre all’ipnotizzato di compiere qualsiasi atto che mai compirebbe quando è sveglio […]. L’ipnosi è un particolare stato di suggestione che porta ad un restringimento della coscienza, per cui la facoltà di percepire il mondo esterno è condizionata da ordini impartiti dall’ipnotizzatore. Sotto l’azione suggestiva di costui l’ipnotizzato può compiere certi atti che li vengono comandati e suggeriti, o percepire in maniera abnorme le sollecitazioni del mondo esterno; e talvolta obbedisce dopo il risveglio, anche a distanza determinata di tempo, ad ordini ricevuti durante il sonno ipnotico. È facile immaginare come la conoscenza di questi fatti possa indurre a pensare l’ipnotizzatore disponga di un potere assoluto sull’ipnotizzato. La realtà è ben diversa. L’idea di questo potere assoluto è superata da un pezzo. Gli ordini ricevuti durante l’ipnosi non vengono eseguiti indiscriminatamente, senza scelta, ma soltanto quelli che l’ipnotizzato eseguirebbe anche fuori della suggestione ipnotica, cioè gli atti senza grande importanza e che comunque non contrastano con le tendenze e con le norme di vita della sua personalità. La letteratura scientifica di tutti i tempi non registra alcun caso accertato di grave reato compiuto sotto imposizione ipnotica, tranne che si tratti di soggetti nella cui personalità, fatta di pulsioni istintive e di repressioni e inibizioni di natura morale, vi sia già una disposizione al delitto. […] Neppure la suggestione ipnotica, dunque, può indurre una persona normale in totale stato di soggezione.” 18 De Gaetano, Plagio e suggestione, cit., pp. 613, 614. Alcuni esperimenti hanno infatti dimostrato che, anche in stato ipnotico, il soggetto non commette azioni che, nel suo subconscio, siano contrarie alla sua volontà, e non si è mai verificato, ad esempio, che si possano far commettere attraverso tale prassi gravi reati. De Gaetano cita quanto affermato da Perrotti sull’impossibilità dal punto di vista psicologico di ridurre schiavo un altro essere umano. “Sono ormai concluse da cent’anni le discussioni e le polemiche a proposito dei limiti della suggestione. Agli inizi del Novecento si discute a lungo sulla liceità stessa dell’ipnosi e della suggestione, ma infine, pur dopo lunghe e vivaci contrapposizioni di pensiero, si stabilisce in maniera ormai affatto consolidata che, anche nei casi più gravi come, ad esempio, in quello delle suggestioni post-ipnotiche, qualunque influenza psicologica incontra sempre nel soggetto passivo limiti rappresentati dagli istinti primari, come quello di conservazione dai principi fondamentali della moralità: talché non si potrà mai ottenere che un soggetto, sottoposto a qualsiasi influenza o costrizione psicologica, si suicidi, o a seconda del suo innato senso morale, diventi, ad esempio, ladro, assassino, libidinoso o violento.” A conferma di quanto detto De Gaetano riporta un esperimento di Granone sugli effetti dell’ipnosi. Ad alcune suore di Charcot in stato ipnotico erano state fatti sopportare dei carboni ardenti sulle mani, ma non era stato possibile sollevare loro le vesti, come per violentarle, infatti in questa situazione si erano risvegliate dal sonno ipnotico. 19 Nota redazionale “Sul delitto di plagio”, in “L’Eloquenza”, 1969, pp. 226-228. 20 Alibrandi condivide questa preoccupazione sul pericolo di un’interpretazione eccessivamente estensiva del plagio che potrebbe portare a considerare reato un notevole numero di situazioni di subordinazione psicologica da considerarsi invece lecite, come i casi di proselitismo religioso o di propaganda politica o sindacale. Tuttavia, egli afferma che non si può rinunciare a punire i casi penalmente rilevanti. Al fine di individuarli, il criterio discretivo deve essere quantitativo; infatti la norma incrimina i casi in cui la soggezione sia “totale” e quindi solo quando ricorre questo requisito saremmo in presenza di plagio. Non deve, invece, farsi ricorso ad un criterio qualitativo, che potrebbe facilmente sfociare in un giudizio morale e comporterebbe un inammissibile sindacato sulle idee. Alibrandi ricorda ancora che, indipendentemente dai mezzi psicologici o anche fisici usati dal plagiante, si dovrà verificare la presenza dell’elemento soggettivo, cioè il dolo dell’agente, consistente nella cosciente volontà di ridurre altri in uno stato di totale soggezione al proprio volere (L. ALIBRANDI, Osservazioni sul delitto di plagio, in “Rivista penale”, 1974, pp. 711, 712). 21 GOZZANO, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 112-119; MUSatti, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 128-131; Nota redazionale “Sul delitto di plagio, cit., pp. 220-222. Dove leggiamo: “Allorché la giurisprudenza ha parlato di ‘soggezione psichica del soggetto attivo a quello passivo’, di ‘annullamento della personalità’ evidentemente non ha inteso qualificare plagio l’opera di chi tende a far sì che un soggetto (a lui legato da sentimenti amorosi o di interessi politici o culturali) assorba le proprie idee, pensi come lui, non voglia altro che ciò che desidera il suo partner, aneli ad una comunanza di sentimenti, di costumi, di valori. Ogni amicizia, ogni relazione risulta caratterizzata da questa esplicita volontà d’impossessarsi dei sentimenti, delle idee, dei sogni, dei desideri della persona che è al centro delle attenzioni del ‘soggetto attivo’. […] Se, invece, facendo leva sulla superficialità e la genericità delle espressioni, si volessero applicare letteralmente questi concetti di suggestione e sottomissione al proprio potere, troveremmo nella vittima degli uomini numerosissime situazioni in cui i rapporti di dipendenza si accentuano ed acuiscono tanto da giustificare l’espressione totale stato di soggezione.” 22 MUSatti, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 135, 136. Nota redazionale “Sul delitto di plagio”, cit., p. 233. Sulla possibilità di incriminare anche rapporti legittimi: “Incriminare queste fattispecie sarebbe aberrante, significherebbe introdurre nel nostro diritto positivo uno strumento di repressione, persecuzione e discriminazione di natura ideologica.” 23 MUSATTI, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., pp. 135, 136. 24 MUSATTI, in Sotto il nome di plagio, studi e interventi sul caso Braibanti, cit., p. 136; M. Manfredi, Soggezione interpersonale e reato di plagio, Adda, Bari 1974, pp. 89, 90; Nota redazionale “Sul delitto di plagio”, cit., p. 223, 230. 25 M. Del Re, Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale dell’integrità psichica, in “La giustizia penale”, 1983, p. 169, 170; e G. gulotta, Psicoanalisi e responsabilità penale, Giuffrè, Milano 1973, p. 123-127. Per un approfondimento si possono leggere anche: M. DEL RE, Plagio criminoso e lecita persuasione nei culti emergenti, in Studi in memoria di P. Nuvolone, vol. II, Giuffrè, Milano, 1991, pp. 69-94 e A. Usai, Profili penali dei condizionamenti psichici, Giuffrè, Milano 1996. In L. Cornacchia, Il problema della c.d. causalità psichica rispetto ai condizionamenti mentali, in S. Canestrari, G. Fornasi, (a cura di) “Nuove esigenze di tutela dei reati contro la persona”, Cleup, Padova 2001, p. 245, alla nota n° 216 è riportato uno stralcio dal “Rapporto italiano del Dipartimento di Pubblica Sicurezza” 1998, dal quale risulta che sono stati effettuati accertamenti da parte della polizia giudiziaria ed è stato verificato l’uso di “sistemi scientificamente studiati per aggirare le difese psichiche delle persone irretite, inducendole ad un atteggiamento acritico e all’obbedienza cieca” proprio in base alla testimonianza di fuoriusciti dalle c.d. “psicosette”. Questi fenomeni smentirebbero le affermazioni di chi, all’epoca del dibattito sul caso “Braibanti”, riteneva che il rapporto di potere esercitato da una persona che ha autorità su altre avrebbe dovuto considerarsi un fenomeno sempre più raro, in quanto sarebbe aumentata la “soglia di resistenza” ai questi condizionamenti, in conseguenza della ormai diffusa emancipazione e della maturazione culturale dei cittadini (Manfredi, Soggezione interpersonale e reato di plagio, cit., pp. 66, 67). 26 Tale tecnica comporta il ricorso al controllo alimentare, far soffrire la sete e la fame o alla privazione del sonno ecc. Per un approfondimento: Del Re, Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 173-186 e Usai, Profili penali dei condizionamenti psichici, cit., pp. 23-28. 27 Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, cit., pp. 1285, 1286; Benassi, Alcune note in tema di plagio, cit., p. 98; S. Satta, Osservazioni sul caso Braibanti, in “Giurisprudenza di merito”, 1968, p. 401. L’ordinamento deve garantire che ciascun uomo possa realizzarsi come persona, in base alle proprie possibilità e nei limiti delle sue capacità, raggiungendo una certa maturità e presa di coscienza personale. La libertà per ogni persona deve essere dunque intesa non come mancanza di condizionamenti, ma come superamento dei condizionamenti, perché si verifichi la tutela della libertà morale da parte dell’ordinamento. È proprio nell’ipotesi di plagio, quando si realizza un condizionamento di tipo assorbente ed esclusivo che va oltre la “normalità” sociale, che si esteriorizza la lesione della libertà morale, che è una libertà interna. Ciò che deve essere considerato è il fenomeno induttivo in sé e non il contenuto dell’induzione, altrimenti si cadrebbe in un sindacato di idee, contrario ai principi costituzionali di libertà del pensiero e di riserva di legge penale (Callieri, Flick, I comportamenti indotti: aspetti psichiatrici e giuridici, cit., p. 811). 28 Pietro Nuvolone la proposta dell’abrogazione del delitto di plagio costituisce un’“erronea valutazione della legge” e si tratta solo di “affrettate decisioni politiche”. Infatti non si possono sottovalutare le sempre più raffinate tecniche di trasformazione della personalità, che risultano offensive della dignità stessa dell’uomo, poiché lo rendono psicologicamente schiavo (Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, cit., p. 1285). Giuseppe Zuccalà afferma che la previsione del delitto di plagio risponde all’esigenza di una piena tutela della libertà della persona umana e propone di mantenerne l’incriminazione eventualmente in un unico articolo insieme al reato di riduzione in schiavitù (Zuccalà, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, cit., p. 384). Anche Paolo Benassi, che pur condivide la critica di scarsa applicazione concreta della fattispecie, non ritiene questa considerazione sufficiente a far accettare l’idea di abrogazione del plagio, che deve ritenersi del tutto ingiustificata, non essendo stato indicato dai suoi fautori alcun argomento valido dal punto di vista giuridico. Egli ritiene, infatti, che l’interpretazione del plagio come schiavitù psicologica sia quella più logica e corretta, anche dal punto di vista sistematico (Benassi, Alcune note in tema di plagio, cit., p. 105- 108). 29 Satta, Osservazioni sul caso Braibanti, cit., pp. 401. Molti giuristi ricordano come siamo continuamente sottoposti al condizionamento derivante dalla pubblicità e all’influenza volutamente esercitata sulla collettività dai mass-media. Quello dell’uomo “non condizionato” può, dunque, considerarsi solo un mito (Callieri, Flick, I comportamenti indotti: aspetti psichiatrici e giuridici, cit., p. 810-814). Sulla rilevanza del condizionamento da parte del sistema mediatico sono intervenuti inoltre: F. MANTOVANI, L’imputabilità sotto il profilo giuridico, in F. Ferracuti (a cura di), Psichiatria forense generale e penale, vol. XIII, Giuffrè ed., Milano, 1990, p. 19. Usai, Profili penali dei condizionamenti psichici, cit., pp. 110-115. 30 Satta (SATTA, Osservazioni sul caso Braibanti, cit., p. 401) intende questo termine in riferimento alla non episodicità del condizionamento e alla non semplice coartazione di comportamenti esterni per cui coactus volui sed tamen volui quando dunque ci sia un coinvolgimento della psiche del soggetto, di tutto il campo del volere. 31 SATTA, Osservazioni sul caso Braibanti, cit., pp. 401, 402. 32 Per apparati di “autonomia primaria” si intendono gli apparati mnemonici, motori, di soglia, che costituiscono una barriera protettiva dell’Io dall’Es, servono per un adattamento all’ambiente. Per apparati di “autonomia secondaria” sono quelli che si formano dalle vicissitudini pulsionali e dai processi di risoluzione dei conflitti, in riferimento alle organizzazioni dell’Io che rappresentano i suoi valori e le sue ideologie. L’Io può essere inteso come organizzazione coerente di processi mentali, l’Es indica le pulsioni. (Gulotta, Psicoanalisi e responsabilità penale, cit., pp. 78, 79; 96, 97). Per un approfondimento in materia psicoanalitica: S. FREUD, Opere, l’Io e l’Es e altri scritti, Boringhieri, Torino, 19834, pp. 475-520; D. RAPAPORT, Il modello concettuale della psicoanalisi, Scritti 1942-1960, a cura di M.M. Gill, edizione italiana a cura di M. Bolko e P. Galli, Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 206-217; 370-386; 460-483; I concetti fondamentali della psicoanalisi, vol. III, Metapsicoloia, anoscia e altri argomenti, a cura di H. NAGERA, Boringhieri, Torino, 19835, pp. 17-24; 37-41; H. HARTMANN, Psicologia dell’Io e problema dell’adattamento, Boringhieri, Torino, 19902, pp. 19-36; 37-50; 84-93; 94-106; 107-114. 33 gulotta, Psicoanalisi e responsabilità penale, cit., p. 125. 34 gulotta, Psicoanalisi e responsabilità penale, cit., p. 126, 127. Le stesse motivazioni e la preoccupazione per il diffondersi dei fenomeni delle sette religiose hanno indotto alcuni parlamentari a presentare il 10 marzo 2004 il disegno di legge, n° 4718 con l’intento di ripristinare l’abrogato delitto di plagio, tuttavia con un articolo di nuova formulazione. Il testo presentato è il seguente: “Art. 613-bis – (Manipolazione mentale ). – Chiunque, con violenza, minacce, mezzi chimici, interventi chirurgici o pratiche psicologiche di condizionamento della personalità, pone taluno in uno stato di soggezione tale da escludere la capacità di sottrarsi alle imposizioni altrui, al fine di fargli commettere un atto o di determinare un’omissione gravemente pregiudizievoli, è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove attività che hanno per scopo o per effetto la creazione o lo sfruttamento della dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, le pene, di cui al primo comma, sono aumentate di un terzo.” 35 Del Re, Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 187, 188. 36 Del Re, Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 173-186. Di tali mezzi Del Re fornisce una dettagliata descrizione sulle modalità specifiche di applicazione e sugli effetti 37 Del Re, Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 186-192. Nonostante l’idea di plagiare un uomo possa far paura, è possibile il modellamento dell’uomo attraverso tecniche che portano alla riforma del pensiero, alla programmazione psicologica e al controllo elettronico e chirurgico. Tuttavia ammettere l’esistenza di simili tecniche non vuol dire ridurre l’uomo a robot, infatti Del Re conclude che, a differenza delle marionette, l’uomo ha la capacità di fermarsi a studiare i meccanismi che lo muovono. Dalle considerazioni svolte egli desume la necessità di una tutela penale del bene giuridico “integrità psichica”, suscettibile di aggressione e di lesione. Del Re (DEL RE, Plagio criminoso e lecita persuasione nei culti emergenti, cit., p. 94) elabora anche un possibile testo per un riformato art. 603, tra i delitti contro la personalità individuale, a tutela dell’integrità psichica. Il testo è il seguente: “Chiunque al fine di sottoporre al proprio potere una persona nel lede o pone in pericolo la psichica integrità mediante mezzi chimici, interventi chirurgici o pratiche psicagogiche di condizionamento è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.”

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