La Cassazione non ha dubbi: si applicano sempre le tabelle del momento della liquidazione

Un’interessante sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25485 pubblicata in data 13/12/16, è intervenuta su una questione che spesso si trovano ad affrontare tutti gli operatori del comparto RCauto quando debbono misurarsi con la necessità di quantificare il danno di natura non patrimoniale patito dalla vittima di un incidente stradale. In tali casi, come noto, si fa applicazione di un sistema empirico ‘codificato’ in una matrice di calcolo di origine normativa ovvero giurisprudenziale. Più precisamente, per le lesioni di natura micro-permanente (dall’1 al 9%) si ricorre alle tabelle previste dal nuovo codice delle assicurazioni e periodicamente aggiornate con apposito regolamento ministeriale. Le tabelle per le ‘micro’ valgono nelle ipotesi di responsabilità civile automobilistica, ma anche in quelle di responsabilità professionale medica in ragione dell’estensione operata dal cosiddetto decreto Balduzzi del 2012. In tutti gli altri casi, e cioè macro-lesioni e micro-lesioni in ambito di RC ordinaria, trovano applicazione le tabelle di creazione giurisprudenziale tra le quali spiccano quelle licenziate dall’Osservatorio per la giustizia del Tribunale di Milano a cui la giurisprudenza di legittimità (Cass. 20895/15) ha riconosciuto una ‘vocazione’ nazionale invitando i giudici di merito a farne un uso sistematico onde garantire una sostanziale uniformità di giudizio senza discrepanze territoriali.

Ebbene, uno dei problemi che ci si è sempre posti, sul piano pratico, è se – all’atto della monetizzazione di un risarcimento – debba aversi riguardo alle tabelle vigenti al momento dell’accadimento del fatto lesivo ovvero a quelle del giorno della liquidazione. Non è un problema di poco momento. Infatti, le cose possono cambiare sensibilmente, a seconda della opzione prescelta, in quanto le tabelle mutano in ragione di diversi fattori: dal progressivo adeguamento al costo della vita alla individuazione di differenti indici sintomatici utilizzati dagli estensori delle tabelle medesime onde dimensionare in chiave patrimoniale l’equivalente del valore non patrimoniale perduto.

Possono verificarsi scostamenti anche significativi persino nella determinazione del valore di un danno biologico laddove si prenda a riferimento la tabella ‘in vigore’, per così dire, nell’istante dell’infortunio piuttosto che quella del giorno della liquidazione, soprattutto quando tra l’uno e l’altro sono trascorsi parecchi anni.

Il principio sancito dalla sentenza in commento è che debba valere sempre il criterio tabellare più aggiornato all’atto del risarcimento per evitare sperequazioni ed iniquità. Laddove, infatti, si seguisse l’opposto orientamento si incorrerebbe in una violazione del criterio equitativo sancito dall’art. 1226 c.c. Infatti, una identica lesione del medesimo interesse riferibile alla persona sarebbe ‘compensata’ in modo differente a seconda della scelta operata dal giudicante con conseguente violazione del principio della parità di trattamento.

In altri termini, secondo gli Ermellini la questione non va disciplinata alla luce del brocardo tempus regit actum perché i criteri tabellari non sono regole giuridiche, ma piuttosto fattori empirici espressivi di dati di esperienza che forniscono al magistrato un mero ausilio nella liquidazione. In tal modo, quest’ultima va effettuata secondo una coerenza logica affidata alla tecnica liquidatoria più aggiornata, quella che, allo stato dell’arte, è la più adeguata a garantire l’effettivo e attuale ristoro del danno patito.
Concludendo, il giudice di merito quando non ritenga di attenersi ai criteri tabellari esistenti al momento della decisione, deve fornire una rigorosa motivazione che sarà ben difficile da individuare stante l’indirizzo inequivoco assunto dalla Suprema Corte con la pronuncia di cui sopra.

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