La Cassazione e la componente dinamico-relazionale del danno biologico

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, depositata il 27 marzo 2018, relatore Dr. Rossetti, affronta il tema della corretta terminologia e quello, speculare e conseguente, dell’importanza di un suo impiego adeguato in ambito di responsabilità civile. Si parla, quindi, del patrimonio concettuale degli operatori del settore nella  materia del risarcimento del danno.

Tuttavia, la parte interessante della pronuncia non è quella su cui maggiormente si spende la Suprema Corte –  l’oggetto del contendere, per così dire –  ma semmai quella dedicata a due tematiche apparentemente secondarie, e in realtà dirimenti, e impattanti in ben più larga misura sul lavoro quotidiano degli avvocati e dei medici legali.

Ci spieghiamo. L’ordinanza si occupa, innanzitutto, della definizione di danno biologico e della categoria della componente dinamico-relazionale di tale voce di danno. L’estensore si dilunga richiamando tutti i precedenti normativi e dottrinari atti a dimostrare che, in verità, discorrere di componente dinamico-relazionale e di danno biologico significa disquisire – per lo più e soprattutto – della stessa cosa. Come insegna la stessa letteratura più accreditata e diffusa in ambito medico legale, la compromissione della integrità psico-fisica di un soggetto involge sempre, e necessariamente, una ricaduta sul piano dinamico-relazionale; ovverossia, sull’insieme di tutte quelle micro-attività quotidiane che connotano la vita di un qualsiasi essere umano.

Ergo, a detta della Corte di Cassazione, i giudici di secondo grado, nel caso di specie, avevano rettamente deciso nel ritenere che la monetizzazione del danno biologico (in concreto subito dall’attore) non meritasse una implementazione pari al 25 per cento, che era invece stata riconosciuta dal Giudice di prime cure.  Infatti, l’appesantimento del punto (pur previsto sub specie di aumento ponderale del quantum risarcitorio dalle tabelle milanesi) non può essere accordato alla vittima sol perché, per ipotesi, il medico legale abbia riconosciuto una particolare incidenza della specifica lesione (e delle sue compromissioni menomanti) sulle attività quotidiane del soggetto.

Non foss’altro perché tutte le menomazioni, classificabili alla stregua di danno biologico, incidono de facto sulla sfera dinamica e relazionale del soggetto leso. Di talchè, nessuno merita una ‘valorizzazione’ al rialzo del risarcimento sulla base del mero assunto di aver visto vulnerate le proprie dimensioni esistenziali lato sensu intese. Qualsiasi individuo incorra nella sventura di riportare un danno biologico permanente, per ciò stesso ne ricava un detrimento (anche) di natura dinamico-relazionale (oltre che di carattere ‘statico’) e – del ristoro di tale compromissione – tengono conto le tabelle meneghine. Ciò esse fanno attraverso i valori monetari ordinariamente estrapolabili dalle note matrici che ‘incrociano’ l’età della vittima con la sua percentuale di danno.

Il quid pluris contemplato dalle tabelle è invece riconoscibile – per gli Ermellini – solo in casi eccezionali e cioè laddove la vittima dimostri che il pregiudizio fisico ha ‘esondato’ in misura significativa su specifiche, peculiari, precipue aree dell’esistenza del soggetto; aree sottratte, proprio in virtù della loro extra-ordinarietà, alle cosiddette mansioni ‘ordinarie’ normalmente accessibili al quisve de populo.

Ci permettiamo di osservare come accogliere questa lettura significhi, né più né meno, cancellare con un tratto di penna la stessa possibilità di un aumento degli importi ottenibili con le tabelle di Milano. Infatti, come può agevolmente constatare qualsiasi avvocato o medico legale con una diretta esperienza delle fasi processuali, in particolare di quella istruttoria (e della mentalità ivi predominante tra i giudici di merito di ogni ordine e grado), è pressoché impossibile riuscire nella ‘probatio diabolica’ di dimostrare che un danneggiato ha subito una ‘peculiare’ o ‘straordinaria’ compromissione delle proprie componenti dinamico-relazionali.

Ogni attività extra-professionale, e perciò ricreativa e a-redittuale, viene sistematicamente sottovalutata, ridimensionata e, in definitiva,  ricondotta –  per una sorta di miopia masochistica incrementata dall’ossessione per il feticcio della cosiddetta ‘economia processuale’ –  nella grigia e indistinta nebulosa della ‘normalità’, della ‘quotidianità’, della ‘ordinarietà’. Insomma, per quanto ci si affanni a spiegare e illustrare le conseguenze della menomazione sulle attività del proprio cliente, quelle attività finiscono sempre nel ‘serbatoio’ dell’attore ‘qualunque’: azioni da uomo ‘medio’, che chiunque potrebbe compiere e che, quindi, non hanno mai quei caratteri sovra-ordinari in presenza dei quali i giudici di legittimità sono disposti a deliberare il sospirato aumento delle poste risarcitorie.

Andiamo sul pratico. Vai in montagna? Scali le vette? Fai wind-surf? Pratichi le danze latino americane? Sei un appassionato di disegno? Ti diletti con uno sport amatoriale? E allora? Cosa pretendi? Quale persona non lo fa, o non fa qualcosa di creativamente assimilabile? Il tuo ‘passatempo’ è senza difficoltà, e sistematicamente, accostabile a un altro analogo e annoverabile nella sterminata (e onnicomprensiva) categoria delle azioni in grado di gratificare un uomo o una donna e di rendere più piacevole la loro vita. In ogni caso, va tutto a finire nella ‘cesta’ del danno biologico, con buona pace di tanti bei discorsi – di tanti acclamati convegni – sui concetti di personalizzazione del risarcimento.

Altrimenti detto, a voler scrupolosamente applicare i criteri general-generici, ma selettivi oltremisura, della Cassazione,   nessun avvocato, nessun medico-legale, nessun giudice si imbatterà mai nelle fantomatiche attività dinamico-relazionali (di cui parla l’ordinanza in commento) connotate da una così intensa peculiarità o specificità. Tali, cioè, da meritare quella sorta di bonus consistente nel ristoro aggiuntivo contemplato dall’ultima colonna (tristemente famosa per quanto raramente è stata utilizzata) delle famose tabelle.

Forse, onde ottenere l’agognata applicazione della maggiorazione di cui trattasi, bisognerebbe spacciarsi per superman spericolati avvezzi ai tuffi in caduta libera, senza paracadute, da quattromila metri, magari  sponsorizzati dalla Sector no limits.  Ma non ne siamo così sicuri. È  probabile che – utilizzando la ‘bussola’ di cui alla pronuncia in commento – anche una pratica come quella in questione verrebbe derubricata al rango di passatempo dinamico-relazionale dignitoso tanto quanto qualsiasi altro. E quindi – come qualsiasi altro – non degno di risarcimento.

Avv. Francesco Carraro

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